Nelle riviste, nei cataloghi di arredamento, perfino nelle pubblicità di Ikea, è sempre più presente un approccio estetico di questo tipo: la monocromia invade un’intera parete, senza aver paura di ricoprire cornici, finestre, rilievi, modanature e tutto quello che incontra. Senza generare gerarchie e ordini classici, senza evidenziare ritmi spaziali.
Nonostante questa scelta estetica appaia come una moda recente, deve le sue origini all’arte astratta. È nel ’73 che l’artista Claude Rutault sancisce la sua “definizione/metodo” dove, brevemente, ogni opera d’arte risponde a proprie regole ma per esistere deve estendersi al contesto della parete che la ospita. Risultato? Entrambe vengono dipinte dello stesso colore.
È difficile – o impossibile – capire se i primi interventi architettonici si rifacessero a Rutault o meno. È possibile che diverse sensibilità siano arrivate alla medesima conclusione per vie differenti, oppure, come spesso accade, ci sono idee che si fanno strada silenziosamente, diventano parte del nostro inconscio, del nostro bagaglio culturale, e saltano fuori quando meno ce lo aspettiamo.
A mio parere il merito di questa ricerca estetica è di aver permesso un atteggiamento disinvolto nei confronti dell’esistente, del restauro, del riuso. Ci permette di osare, dove non ci saremmo permessi prima. Ci permette di riutilizzare quello che prima avremmo buttato giù. Ci permette di creare armonia in modi diversi.
Un bellissimo esempio è il rinnovamento della Fondazione Prada ad opera di Rem Koolhaas (qui sopra in foto). Uno dei volumi principali, in piedi dal 1910, è stato messo in risalto da un rivestimento oro, che ricopre ogni sporgenza, senza alcuna eccezione.
Sono davvero molti i progetti che utilizzano questo espediente e lo declinano di volta in volta con nuove soluzioni ed effetti estetici. Sicuramente, con la semplice “demolizione” o la sostituzione, non avrebbero sicuramente ottenuto la stessa bellezza, pulizia o lo stesso spiazzamento.
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