Da sempre, l’arte contemporanea ha per me un fascino irresistibile. Fra la prestigiosa Galleria che raccoglie le più grandi opere mai prodotte, e una equivalente che riprende il meglio delle ultime generazioni, io scalpiterei per la seconda.
Non tutte le mostre di arte contemporanea mi emozionano allo stesso modo: alcune mi lasciano perfino indifferente, per la maggior parte necessito di spiegazione. Eppure, quando vi riescono, mi coinvolgono molto più di quanto facciano tutti i mostri sacri del passato.
Mi piace soprattutto provare emozioni differenti: confusione, ammirazione, sorpresa, disgusto, sconvolgimento, divertimento… aprono un ventaglio di idee e possibilità, come potrebbe farlo una nuova canzone, un testo che parla di noi stessi. Non sai mai quello che ti aspetta.
Per capirla ancora meglio, ero in cerca di un libro che non si fermasse – come la maggior parte dei corsi di storia dell’arte – alla Pop Art degli anni 60. È stato un caso che mi sia imbattuta nel testo di Denys Riout intitolato appunto “L’arte del ventesimo secolo”. Stavo cercando in realtà un volume di Dorfles, o della Vettese. Eppure era lì, al 50%, in un carinissimo Libraccio a Bologna, come resistere?
Non è un libro di testo nel senso classico: niente figure affiancate, bisogna munirsi di pazienza e Google alla mano per cercare le opere di ogni artista. Ogni tanto è anche astruso, ma per fortuna dura poco.
Ma la cosa bella, molto bella, è che le correnti non appaiono come casi isolati a sè stanti, come esposte in vetrina. E non sono contestualizzate approssimativamente, giusto per dire di aver rispettato il dogma della contestualizzazione. Le correnti scivolano l’una nelle altre, sono mostrate nella loro intera evoluzione, le vedi quasi cambiar forma davanti ai tuoi occhi.
Con la maggior parte dei libri di testo invece, avevo sempre la sensazione di essere accompagnata da una guida turistica, un po’ saccente ma sbrigativa: “questo è l’astrattismo, che diventa sempre più minimal, qua esponenti optical che giocavano sulla percezione della retina, eh sì, l’arte in crisi e, bene, in fondo la sala dei realisti”. Certo, è un libro che richiede più impegno e tempo, sicuramente.
Ero interessata alle opere dagli anni 60 in poi, ma la cosa bella è che prima ancora di arrivare alla Pop Art, questo testo sta descrivendo un mondo e una complessità che neanche immaginavo. Dal quadrato di Malevic al taglio di Fontana, non ci si arriva per due artisti che hanno buttato lì due quadri minimal colorati: ci sono centinaia di artisti, tante micro-correnti e una vera propria evoluzione lenta – diversamente da quanto spesso sbrigativamente descritto.
E soprattutto, mi ha regalato una delle più belle definizioni di arte astratta. Pagina 109 (tagliato e abbreviato abbastanza, vi risparmio tutte le parentesi e mini inclusioni):
Entrambe, opere figurative e opere astratte, concorrono a una conoscenza del mondo.
L’arte astratta offre all’artista la possibilità di rendere percepibili realtà che non possiamo vedere nè descrivere ma di cui possiamo intuire l’esistenza.
L’astrazione, è infatti l’ultimo rifugio di un’aspirazione alla spiritualità. Non ha ripudiato la mimesis per soddisfare un desiderio di rottura: anzi, essa è piuttosto un tentativo – non importa se fiducioso ed entusiasta, oppure nostalgico scettico e beffardo – di preservare le ambizioni, anch’esse di varia natura, dell’arte del passato.
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