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Stavolta voglio affrontare un tema dedicato alla pura estetica di un progetto, a quello che ruota attorno al suo carattere, al punto di incontro fra committenza e professionista. Fra i dubbi di chi infatti deve iniziare dei lavori, un restyling, una ristrutturazione, ve ne sono alcuni come:

  • l’architetto sceglierà per me o imporrà le proprie scelte? E se quello che mi propone non mi piace?
  • e se ho già delle idee? Vanno in contrasto con l’idea di farsi seguire da un’architetto?
  • come capire quale delle sue soluzioni è meglio per me?
  • devo scegliere uno stile? E se sì, quale?

((PS. se questi temi vi interessano, se vi piacerebbe capire meglio come progetto e come mi relaziono col cliente, potete leggere l’articolo che segue o vedere il replay del webinar che ho tenuto per Cosentino ed Edicom, a questo link)).

Parlerò dì:

[premessa: ogni professionista è diverso dall’altro]

Vale per tutte le professioni al mondo, e pertanto vale anche per la nostra. Alle domande di sopra potreste ricevere milioni di risposte diverse: il rapporto con la committenza, con le idee e con l’estetica è del tutto soggettivo. Ogni professionista segue un suo metodo personale che è frutto del proprio bagaglio culturale, delle esperienze lavorative e di vita, della propria sensibilità, nonché del carattere.

Quanto state leggendo è quindi il mio punto di vista, la mia “filosofia” ed etica di lavoro. Per capire come si comporterebbe un altro professionista, vi suggerisco di documentarvi leggendo il suo sito personale (cosa scrive nella propria presentazione?), cosa dicono di lui terzi (chi ha lavorato con lui, chi è stato suo cliente) ecc. Se vi sono altre domande che non trovano risposta fra quello che trovate liberamente consultabile, chiedete pure all’interessato, non fa mai male, anzi.

come mi approccio al cliente

Ho conosciuto moltissimi colleghi negli anni e non saprei trovarne due che si approcciassero allo stesso modo con la committenza. Si passa dall’estremo di chi in modo perentorio tende ad affermare in maniera decisa le proprie idee, rifiutando compromessi che snaturino il proprio pensiero, all’estremo opposto di chi lascia passare ogni proposta senza far da filtro pur di snellire il processo.

Personalmente credo di potermi collocare in una via di mezzo. Ho molto a cuore l’estetica del progetto e l’architettura per me è anche passione e questione etica, ma al tempo stesso credo che un confronto col cliente sia essenziale e che il suo contributo dia spessore e maggior ricchezza alla visione progettuale – soprattutto in ambito residenziale privato. Questo fa sì che nessun progetto sia uguale all’altro, e che rispecchi non solo il mio modo di lavorare, ma anche la vita, l’estetica del cliente.

cosa conta nel processo decisionale

Non è importante che il cliente abbia già un’idea nel cassetto, o che non ne abbia nessuna. Quello che conta di più nell’intero processo è che il cliente sappia bene cosa preferisce se messo di fronte a delle alternative. Meditando anche sulle diverse soluzioni, prendendosi i suoi tempi (lo consiglio sempre!), ma conoscendo bene in maniera decisa sè stesso e cosa gli va più a genio.

Ho avuto clienti che decidevano sfiorando appena con lo sguardo i render (mi sorprendo sempre di quando accade, non ho avuto neanche bisogno di spiegare!); e clienti a cui piaceva tutto ma continuavano a non decidersi e a chiedere molte varianti, a volte percependo un senso di smarrimento. Un po’ come quando bisogna acquistare un vestito: c’è chi riesce a decidere al primo sguardo dato al manichino, e chi gira tutti i negozi della via provando le cose più diverse e senza decidersi.

La soluzione per uscire da quest’ultimo girone infernale è semplice:

  1. comunicate attraverso esempi fotografici cosa vi piace. Non sta a voi scovare il comune denominatore fra tutte le immagini, trovare la chiave di volta eccetera – costituirebbe un filtro falsato. Scegliete spensierati cosa si addice a voi, l’architetto tirerà fuori le sue considerazioni.
  2. comunicate le vostre esigenze funzionali/pratiche. Non dovete trovare la soluzione, ma comunicare di cosa avete bisogno, in modo chiaro, senza tralasciare nulla. Esempio: “ho bisogno di uno spazio-ripostiglio” e non “dividiamo la cucina in due per avere un secondo spazio”. Nel secondo caso non si capisce di cosa avete bisogno e potrebbero esservi soluzioni migliori a quella individuata da voi e che non avevate considerato. Oppure “adoro avere i trucchi tutti a vista in un unico cassetto”, sembra un’informazione poco importante, in realtà questo elemento condiziona il disegno di un arredo bagno: bisognerà garantire almeno un cassetto basso e lungo per permettere di esporre – e non impilare – tanti piccoli contenitori.
  3. ragionate sulle proposte ricevute e immaginatevi all’interno di quegli spazi. Come dico sempre, prendetevi il tempo che vi serve per decidere. Chiedetevi: mi piace, mi entusiasma l’idea di avere uno spazio così? Si addice a me o è diametralmente all’opposto? Vi sono scelte a cui sto rinunciando e che rimpiangerei? E comunicate le vostre perplessità.
  4. lasciatevi guidare un minimo e non abbiate paura di cambiare le abitudini. Ci si abitua veramente a tutto, a maggior ragione se la nuova disposizione è più logica di quella a cui siete abituati da una vita. Lasciate fare un minimo e non preoccupatevi in tal caso: ogni nuovo movimento sarà più facile, più lineare e immediato. Credete di stare osando? Forse inizialmente può fare paura, ma quando una cosa piace tanto, poco conta se è non-consueta, ciò che piace lo amerete sempre, a prescindere se anche i vostri amici ce l’hanno o meno.

avete già delle idee precise?

Capita che dei clienti arrivino da me con una pianta già abbozzata da loro, pensando che questo possa semplificare il mio lavoro o velocizzare il processo progettuale. Sicuramente dei clienti decisi – vedi sopra – rendono il tutto più snello e garantiscono un risultato migliore, ma dalla volontà ferrea a una definizione progettuale di buon livello ne passa di acqua sotto i ponti.

Ci sono architetti che prendono per buono quanto ricevono e vanno avanti su quelle basi. A mio parere il corretto procedimento è: analizzare la soluzione proposta dai clienti, comprendere le ragioni che hanno portato a quelle definizioni e verificare se esistono soluzioni migliori che garantiscano di rispondere a tutte le richieste. Per questo comunicavo che poco importa avere sotto mano delle soluzioni o no: l’architetto bravo andrà oltre, cercherà di capire i vostri bisogni e definirà una sua soluzione al problema.

In ogni caso ogni scambio è sempre utile; spesso alcune idee o intuizioni dei clienti hanno dato quel tocco in più all’intero progetto!

lo stile

Le etichette sono comode, è indubbio. Molti clienti infatti iniziano a descrivermi ciò che gli piace affiancandolo a un: scandinavo, shabby chic, industriale ecc. Quando accade, provo ad astrarre la richiesta e a renderla aderente alla loro personalità e al mio modo di vedere.
Ma la scelta di adoperare uno stile preciso presupporrebbe l’utilizzo di stilemi, ovvero di forme, accostamenti di colori-materiali preconfezionati. Ciò significherebbe:

  • privarsi dalla possibilità di osare, sperimentare
  • rendere impersonale il proprio ambiente (siamo molto di più che uno stile alla moda!)
  • rendere esteticamente tutto molto più cheap, non importa quanto abbiate speso (la mente richiama velocemente quell’arredo in stile visto nel volantino del grande ipermercato)
  • non meno importante, rincorrere un’estetica “finta”, costruita a tavolino da qualcun altro per noi

Quindi: finchè si tratta di descrivere, comunicare, capirsi… ben venga l’uso di stili. Utilizzare pezzi vintage, storici/iconici, di famiglia ben fatti e ben disegnati? Meglio ancora! Ma se lo stile diventa una richiesta specifica progettuale, su questo non mi trovo molto d’accordo. Meglio trovare da sè la propria strada, senza copiare nessuno.

È ovvio che ognuno di noi ha di base un approccio estetico differente, uno stile appunto, riconoscibile da terzi. Ma, come per gli artisti che non amano etichettarsi e che tentano sempre di rinnovarsi per rimanere autentici, vale per tutti la regola di prefissarsi nessuno stile, e ragionare solo su cosa piace, per non realizzare qualcosa di falso e forzato.

quando non si è d’accordo

Si risolve con un duello.
Scherzo ovviamente! Può capitare che non ci si trovi d’accordo con quanto proposto dall’architetto. Bisogna valutare caso per caso perchè, e bisogna essere bravi ambo-lati ad argomentare e far comprendere il proprio punto di vista.

Se a mio parere la modifica richiesta ha un peso rilevante nell’estetica, funzionalità, principio generale del progetto, lo faccio presente. Molto presente. Posso anche sembrare un poco insistente, ma è giusto far comprendere appieno a cosa si va incontro, e, senza tanti giri di parole, che non sono d’accordo. Accade che elementi che oggi possono apparire insignificanti, avranno un peso nel lungo termine ed è giusto che metta in guardia. Non si ristruttura tutti i giorni!

Se la modifica richiesta è di lieve entità, essenzialmente mi sembra giusto rispettare la volontà del cliente. Come prima battuta ovviamente rendo chiaro perchè avevo agito diversamente. Se nonostante le delucidazioni, è deciso a procedere diversamente, mi adeguo alle sue decisioni.

concludiamo con esempi pratici

Credo di aver detto tutto. Per rendere ancora più chiaro il mio pensiero posso fare alcuni esempi pratici successi in diversi cantieri. Quindi vi saluto, vi ringrazio per aver letto fino a questo punto e vi lascio a questi piccoli racconti:

  • clienti ed esempi fotografici: una cliente mi ha comunicato che amava lo stile industriale, e avrebbe voluto il disegno di una cucina nera. Le ho chiesto di mandarmi degli esempi fotografici di quello che le piaceva in generale per tutto l’appartamento. La maggior parte dei riferimenti era color panna e beige. Nelle prime due proposte di cucina ho comunque seguito le sue indicazioni, ma in una terza proposta ho adottato l’estetica che vedevo nei suoi riferimenti: tutto beige. Ha ovviamente apprezzato molto di più quest’ultima: non si era mai accorta di preferire ambienti chiari, sebbene il nero in cucina la affascinasse!
  • clienti e idee precise: nel progetto BVM la richiesta era quella di aprire la cucina sull’open space, tramite doppia porta scrigno, e rifare il mobile cucina. Durante il sopralluogo, ho verificato che la loro intuizione era giusta, ma ho notato che nel piano mancavano armadiature – specie per gli ospiti. Ho quindi raccolto la loro idea e l’ho implementata: al posto della porta scrigno ho dato maggiore luminosità aprendo l’intera parete con una doppia porta a vetri; e ho demolito il secondo muro per lasciare posto a un’armadiatura fissa fino al soffitto che dividesse il locali ma restituisse spazio armadiatura, un po’ per la cucina e un po’ per l’ingresso. Lo trovano comodissimo!
  • non trovarsi d’accordo e risolverla: un mio cliente ha trovato delle lastre bellissime di un marmo da utilizzare per i piani del bagno. Nel bagno personale voleva installare un lavabo sopra-top, tipo bacinella. Nella mia proposta ho inserito invece un lavabo sotto-top e vi è stato un lungo dibattito al riguardo: non è che non ami i lavabi sopra-top o volessi imporre un mio gusto, ma l’antibagno era configurato in modo tale che accedendo lateralmente, la bacinella con il suo ingombro avrebbe quasi del tutto occultato il piano in marmo. Tutto l’opposto accade lasciandolo a vista e installando un lavabo sotto-top, valorizzandolo. Il cliente ha compreso perché non appoggiassi la proposta e abbiamo installato un lavabo a bacinella nel secondo bagno.
  • non trovarsi d’accordo e comunicarlo: in un disimpegno vi erano 5 file di mattoni in vetrocemento esistenti, posizionate in alto, che illuminavano indirettamente lo spazio. Il termotecnico ha richiesto un ribassamento tecnico, eliminando 4 delle 5 file di vetrocemento. Rimaneva quindi una sola fila, e la loro presenza comportava comunque ordinare una porta fuori misura diversa dalle altre presenti in corridoio. Ho suggerito che si togliesse del tutto l’ultima fila rimanente, non essendovi una grande incidenza e impatto a livello estetico, nè di luce, anzi causando delle irregolarità (nè il vetrocemento era richiamato da altre parti). Anche se la proprietà non era d’accordo, ho fatto il possibile per far comprendere l’effetto disarmonico finale.

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