Ho visitato il Giappone (o meglio, Tokyo e degli assaggi di cittá in un raggio d’azione di 500 km circa) per circa 10 giorni – anni di areo esclusi.
Due parole vanno assolutamente dedicate allo scarto fra immaginazione e realtá.
Expectation vs reality.
Anime
Una mia amica, qualche anno fa in visita per la prima volta a New York, mi ha detto di non essersi sentita in un mondo estraneo. Era come essere giá stati lí, quasi come sentirsi a casa.
Avendo visitato solamente cittá europee, mi aveva colpito la sua riflessione, perché mi era sembrata veramente comprensibile, logica, pur non avendola mai provata. Ho pensato che non si potesse essere piú precisi col luogo comune del ‘’la cultura americana che é entrata nelle nostre case’’. Era effettivamente cosí.

© Virginia Lorello
In Giappone mi aspettavo l’esatto opposto: il brivido di sentirmi su Marte pur rimanendo sulla terra.
Non avevo fatto i conti con i 10 anni di indottrinamento a suon di anime degli anni 90, rispolverati dalla visione dei recenti film dello Studio Ghibli. Credo che quel brivido di alienazione possa comparire piú facilmente visitando Lucca, Berlino o Santarém, che non Tokyo.
Sembra di vedere bene per la prima volta un posto che si é studiato a lungo in un libro. E’ estraneo certamente alla nostra cultura, ma é qualcosa che in un modo o nell’altro abbiamo dentro. Pensare che ero convinta – non chiedetemi perché – che i paesaggi negli anime avessero subito qualche arricchimento o esagerazione (come i giganti occhi dei protagonisti).
Macché.

© Virginia Lorello
Si é esattamente nella copia sputata, imbrattata e impolverata dei palazzi di Sailor Moon, nelle architetture storiche della Cittá Incantata, nel ristorante di Marrabbio, fra gli scalini dei templi su cui sportivi si allenavano a frustate.

© Virginia Lorello

© Virginia Lorello
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Muji style
La mia testa era invece andata in tutt’altra direzione.
La mia Tokyo immaginaria aveva superato le immagini del documentario sullo Shinkansen degli anni 90, e negli anni 2000 si era riempita di case minimaliste, estetica alla Muji, esperimenti traslucidi di architetti come il duo SANAA, il designer Nendo e compagnia.
In realtá tutta questa estetica che amo, sebbene presente, non é altro che una delle miliardi di facce. É il volto piú artistico, di nicchia, purtroppo maggiormente relegato alle biennali e alle riviste, ad alcuni palazzi iconici e a pochi straordinari esempi per privati.
Muji é una mosca bianca, circondato da slogan chiassosi, compagnie americane e ristoranti che riproducono in vetrina modellini dei piatti da servire in scala 1:1.

© Virginia Lorello
Le pubblicitá, le grafiche della metro, il modo di vestire e di pettinarsi, i suoni degli apparecchi elettronici pubblici, la televisione… sono tutte ancora fortemente legati agli anni 90.
Se per noi l’estetica di quegli anni é stato un momento passeggero, a volte importato e subíto, per loro sembra essere stato un momento nodale, che ha fatto veramente parte della loro storia e dal quale é difficile distaccarsi.