Stavolta parliamo del libro Katsura. La villa Imperiale edito da Electa nel 2015; a cura di Virginia Ponciroli, con testi di Arata Isozaki, Manfred Speidel, Bruno Taut, Walter Gropious, Kenzo Tange e postilla di Francesco Dal Co. Fotografie di Matsumura Yoshiharu.
Libro consigliato dalla docenza in epoca universitaria per comprendere appieno il meglio dell’architettura giapponese: la sua qualità spaziale e i differenti valori perseguiti rispetto a noi europei. Costa 100 euro, ma grazie a degli outlet online l’ho trovato a metà del prezzo, quindi date sempre un occhio.
La villa in questione è un complesso edificato a partire dal XVII sec. nei dintorni di Kyoto, ed è composto da una residenza privata articolata in diversi volumi, dei padiglioni in esterno e uno studiatissimo parco privato.
due progetti paralleli
Il libro presenta il complesso della villa sotto due chiavi di lettura differenti, quella saggistica e quella iconografica. I due strumenti rimangono del tutto paralleli, senza che l’uno rimandi veramente all’altro, come se fossero stati portati avanti in maniera indipendente e poi uniti per l’occasione. La struttura infatti è: apertura di Ponciroli, 30 pag. di saggio di Isozaki, 250 pag. di elaborati visivi, e 70 pag. di saggi di chiusura.
Non è un difetto, ma è sicuramente meno agevole leggere e far avanti e indietro in queste pagine per andar a comprendere di cosa si sta parlando. Evidentemente non era l’intenzione del progetto editoriale, che ha preferito premiare la voce individualista dei diversi autori, lasciandoli del tutto indipendenti.
il reparto iconografico
Il corpo del libro è quindi costituito dall’apparato visivo. A inizio di ogni nuovo “capitolo” (es. tema antico shoin, o tema giardino esterno ecc.) è presente una pagina doppia con legenda, pianta dell’intero parco e pianta architettonica dei volumi principali. Viene ripetuta più volte con nessuna variazione, se non un grassetto al numero delle stanze che verranno riprese e un testo bianco in leggenda. Bella sì, ma la ripetizione è del tutto superflua e ridondante, nè il sottile cambio grafico è utile alla comprensione delle visuale delle foto.
Le fotografie sono senza dubbio la miglior parte di tutto il volume, di un’altissima qualità e bellezza. Da sole, seguendo la pianta, riescono a far vivere l’esperienza della villa come se la si stesse percorrendo personalmente. Pochi scorci non sono stati ripresi, e posso presumere siano stati i meno validi o ricchi di informazioni, ma quasi tutta l’architettura è visualizzabile nella propria mente grazie alla quantità e qualità degli scatti.
Mi è stato leggermente meno chiaro l’apparato esterno, forse perchè più complesso e dispersivo, e sarebbe servito avere molte e molte più foto.
Proprio perché ho cercato di comprendere e visualizzare l’intero spazio, senza sfogliare passivamente o soffermarmi su una sola foto, ho notato la mancanza di una “guida” per comprendere l’angolazione delle singole foto. Gli spazi ritratti sono sempre unici, ma al tempo stesso molto simili fra loro e non riconoscibili a colpo d’occhio in pianta, e per orientarmi ho dovuto schizzare a mano, su ogni doppia facciata, o 4, degli schemi sintetici per comprenderne il punto di vista.
A chiusura della carrellata di foto, sono presenti molti elaborati tecnici come piante, prospetti e sezioni ufficiali, forniti direttamente dalla Household Agency di Tokyo. Importanti, anche se lo strumento che ho prediletto sono le foto.
i saggi
I saggi di questo libro, tutti costituiti da grandi nomi che fanno da attrattiva anche in copertina, sono abbastanza diversi fra loro. È stato interessante vedere i diversi approcci, anche se molti temi sono stati ripetuti più volte.
Il primo, di Isozaki, è anche quello che funge da vera guida interpretativa, perchè non solo ricostruisce la storia di Katsura e i suoi principi compositivi (come anche altri saggi faranno), ma con occhi contemporanei può ricostruire il dibattito culturale che questa villa ha scatenato nell’ultimo secolo e come questa sia stata erroneamente riletta negli anni. Il complesso infatti non è nato per mano di un singolo autore o di una singola visione, ma è il fortunato frutto di diversissime influenze su cui ancora oggi si fa fatica a venirne a capo. Tuttavia inizialmente, invece di abbracciare la complessità, diversi intellettuali hanno promosso solo quegli aspetti che facevano più comodo alla propria idea di architettura.
Solo così è stato possibile inquadrare con le giuste distanze il saggio di Gropius che leggeva Katsura nell’ottica di un’architettura razionale, alpina. Questo saggio tra parentesi è stato il mio preferito, perchè il più piacevole a leggersi, maggiormente sensoriale e immerso in immagini e atmosfere giapponesi. Meno contorsionismi ideologici, ecco.
Idem per il saggio di Kenzo Tange, che ha invece pescato maggiormente dalla storia per ricostruire l’origine degli impulsi artistici che hanno governato il giappone.
non abbiamo mai appreso l’importanza dell’economia nelle cose materiali e spirituali poichè apparteniamo a una civiltà che produce una disordinata abbondanza di forme e strutture.
Walter Gropius
(…) Nonostante la povertà delle campagne, le case contadine sono straordinariamente belle e solide. (…) Nei piccoli e lindi villaggi non si vedono mai sporcizia, fattorie trascurate, tetti non riparati o disariche insalubri.
due conclusioni non solo per concludere
Bello, particolare e che sicuramente ha fatto crescere in me maggiore consapevolezza sull’architettura giapponese – spero anche di averne assorbito anche inconsapevolmente un po’ di bellezza.
Pur essendo stata a Tokyo, e nella pluricitata Nikko (che ho adorato, e in questo testo se ne son dette di ogni!) spesso mi sono chiesta a cosa si facesse riferimento quando si parlava di diverso dalla consuetidine, di rottura dalla tradizione, di maggiormente creativo rispetto al resto. Capivo e non capivo, in base anche a quanto di supporto mi veniva dato per comprendere.
Credo che un lettore occidentale, per quanto possa essere amante del giappone come lo sono io, a meno di non esserne veramente un grande conoscitore, possa ancora far un po’ di fatica a capire lo scarto che Katsura ha creato. Non me ne voglia chi ha gestito il progetto del libro, per tutti i se e i ma trovati in questo testo e per il consiglio che mi accingo a dare: sarebbe bello aggiungere un capitolo o consigliare un libro, o dare qualsiasi strumento possa aiutare ad avere ulteriori metri di paragone.
Chiudendo il libro ho infatti percepito un vuoto, il vuoto della non conoscenza che ho su tutto il resto della produzione giapponese.